La medicina difensiva è quell’insieme di misure terapeutiche e pratiche diagnostiche effettuate non solo per il benessere del paziente, ma anche per tutelare il medico sotto il profilo della responsabilità professionale.
Il medico, infatti, deve ormai difendersi dalle innumerevoli e crescenti richieste risarcitorie che, per quanto nella misura dell’80% vengano respinte per insufficienza di prova o per la loro infondatezza, espongono comunque il medico alle indagini processuali e/o assicurative.
La medicina difensiva può esplicarsi in termini di positività, cioè quando il medico attui una serie di esami diagnostici ovvero descriva accuratamente la documentazione che attesti che il medico ha seguito pedissequamente le linee guida così da cautelarsi da eventuali future richieste risarcitorie, ovvero in termini di negatività, cioè quando il medico neghi di effettuare l’intervento di cura richiesto.
La medicina difensiva è ritenuta un fenomeno da arginare per il bene di medico, paziente ma anche dello Stato e tuttavia, ad oggi, nonostante il diverso avviso del ministro Lorenzin, che ritiene di aver vinto la battaglia, non mi pare siano stati adottati provvedimenti utili a sconfiggere tale pratica.
Per quanto, infatti, la Legge n. 189/2012 abbia tentato di offrire al medico più ampi margini di tutela (quali ad esempio il parametro delle linee guida cui attenersi per sgravarsi da responsabilità penale in caso di colpa lieve, ovvero il richiamo alla responsabilità aquiliana volendo così ridurre il termine id prescrizione dell’azione), tuttavia sono ancora contrastanti le letture della norma offerte dalla giurisprudenza e dalla dottrina e non si ha ancora una chiave di lettura uniforme e precisa cui poter fare riferimento senza cadere in dubbi e perplessità.
Medicina difensiva: linee guida e buone pratiche
Con l’aumentare del contenzioso legale in tema di responsabilità professionale medica si è assistito all’esplosione del fenomeno della medicina difensiva che porta il medico a limitare la propria autonomia prescrittiva e a rifugiarsi nelle così dette “linee guida” e “buone pratiche”.
Le due voci paiono sinonimi, ma tra esse corrono delle differenze che qui di seguito vengono evidenziate.
In generale si può dire che linee guida sono quelle raccomandazioni di comportamento clinico elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche migliori che si basano sull’esperienza delle più prestigiose società scientifiche a livello internazionali affinchè il medico, nel suo operare quotidiano, possa seguire un percorso diagnostico e terapeutico ritenuto “ideale” tanto che la Legge Balduzzi vi fa riferimento nel liberare da responsabilità penale il medico che ad esse si sia attenuto;
Le buone pratiche, invece, si riconducono a protocolli e consistono principalmente in schemi rigidi di comportamento diagnostico-terapeutico, descrivendo in effetti le procedure da seguire in una determinata situazione.Da ciò discende la tassatività della loro applicazione.
la risposta a una telefonata urgente mentre si è alla guida non è multabile
Se viene dimostrato che la telefonata effettuata dal conducente durante la marcia del veicolo riveste i caratteri dell’urgenza, la sanzione amministrativa prevista dalla legge deve essere annullata.
La ratio risiede nello “stato di necessità” che scrimina il divieto di telefonare mentre si è alla guida di un veicolo. ed è questa la circostanza rispetto alla quale il Tribunale di Perugia si è trovato a dover decidere con sentenza n. 507/14: in particolare la sentenza in commento ha ritenuto sussistere lo stato di necessità per il conducente che durante la marcia della vettura ha risposto alla telefonata dell’ospedale con la quale veniva annunciato l’aggravarsi delle condizioni di salute del congiunto, poi deceduto.
Corresponsabili all’interno della strettoia se uno viaggia al centro e l’altro cerca di superarlo
E’ il Tribunale di Perugia che con sentenza n. 908/15 ha ritenuto sussistere il concorso di colpa di una donna che alla guida della sua vettura aveva subito danni per essere stata “urtata” da un trattore che occupava il centro di una strettoia percorrendo la stessa direzione di marcia della donna che tentava il sorpasso.
Secondo il giudice umbro la donna non aveva fornito prove sufficienti a dichiarare l’esclusiva responsabilità dell’altro conducente nella causazione del sinistro e precisava che sebbene il trattore avrebbe dovuto verificare di poter accedere al centro della strettoia, è altresì vero che la donna avrebbe dovuto aspettare che il trattore finisse di percorrere la strettoia prima di tentarne il sorpasso e giudicava la condotta di entrambi i conducenti in applicazione dell’art. 2054 II comma c.c.